Ericradis ha scritto: ↑ven 9 feb 2018, 20:42
Qualche giorno parlavo con un amico del fatto che nella nostra cerchia di conoscenze ci sono alcuni che per scelta non lavorano. Si tratta di gente che vive, anche abbastanza agiatamente, di rendita. Soldi perlopiù ereditati dai genitori. (Da queste parti, nelle generazioni precedenti, diverse persone si sono arricchite). Sono anche persone che potrebbero collocarsi nel mercato del lavoro abbastanza facilmente, sono laureati e qualcuno ebbe anche significative esperienze di lavoro.
Ora, il mio amico trovava eticamente inaccettabile che persone ancora giovani non lavorino. Io invece ribattevo che se una persona ha una rendita che gli permette di vivere bene lui e la sua famiglia è eticamente giusto che non lavori. La sua ricchezza viene in parte distribuita con i suoi consumi e lui lascia anche libero un posto di lavoro per chi ha effettivamente necessità di lavorare.
Che ne pensate voi?
Ciao
Ericradis.
Chi di noi non ha mai sognato una vincita alla lotteria, così da poter vivere di rendita, liberarsi dalla biblica maledizione
« Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritornerai alla terra… », affrancarsi da ogni sottomissione e, finalmente, mandare a cagare tutti quelli che abbiamo in antipatia?
Anch'io ho spesso desiderato, magari per colpo di fortuna, una certa sicurezza economica che mi permettesse la libera espressione delle mie passioni. Come sarebbe bello aver sufficiente “fieno in cascina” e non preoccuparci per il domani! Ancor più bello sarebbe se quel fieno fosse stato accumulato con il nostro lavoro, senza togliere nulla ad altri, magari aiutando i meno fortunati o poco intraprendenti.
Nel concreto della mia vita ho però constatato che nessuno ti regala niente: che il bene arrivato dalla buona sorte, per quanto gradito e comodo, è aleatorio perché casuale, non derivante da nostri pregi, non dovuto a proprie fatiche. È come vincere una gara con il vento favorevole, su un percorso facilitato e a noi più consono, aiutati dai compagni, sostenuti dal
doping.
Conosco anch'io qualcuno che vive di rendita. Non considero delle belle persone chi vive senza lavorare, chi campa esclusivamente a spese di altri (foss'anche ereditando); in genere è gente meschina, sempre gelosa del proprio privilegio, quasi mai generosa, propensa alla slealtà, finanche alla disonestà. Ne troviamo esempi anche in letteratura: il
Don Rodrigo del Manzoni,
L'Avaro di Moliere,
Il Giocatore di Dostoevskij,
I Vicerè di De Robetro,
Gli indifferenti di Moravia, i personaggi de
Lo scialo di Pratolini.
Ho constatato, ahimè sulla mia pelle, che il lavoro è spesso ingrato, che vorremmo fuggirlo quando ci opprime ma lo bramiamo quando ci manca.
Altresì ho accertato che il lavorare è una necessità per il sostentamento materiale quanto è un bisogno per la nostra umana realizzazione. Il lavoro in ogni sua forma (manuale, intellettuale, artistica o sportiva) è fondamentale per l'espressione delle nostre qualità, per il compimento dei nostri sogni, per il bene delle persone che amiamo.
Io non consiglierei mai ai miei figli e nipoti di schivare il lavoro; piuttosto vorrei che ne siano economicamente premiati e interiormente gratificati; che dalle loro fatiche rimangano concrete realizzazioni e morali modelli di vita.
Idealmente io vorrei che per tutti ci fosse libertà DEL lavoro piuttosto che DAL lavoro.
Ma tu,
Ericradis, sostieni che il vivere di rendita è eticamente giusto, addirittura utile alla redistribuzione della ricchezza e al dar spazio a chi ha voglia di lavorare.
Certo anche in natura i parassiti hanno la loro funzione: sono perfino utili. Come i funghi taluni sono buoni e molti sono velenosi.
Sul “valore” del lavoro concludo consigliando una lettura e proponendo una citazione. Si tratta di “LA CHIAVE A STELLA” di Primo Levi…
« È malinconicamente vero che molti lavori non sono amabili, ma è nocivo scendere in campo carichi di odio preconcetto: chi lo fa, si condanna per la vita a odiare non solo il lavoro, ma se stesso e il mondo. »
« Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l'amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono. »