definizione?
leggo i siti "sovranisti" e articolisti e commentatori sono ormai tutti imprenditori fascisti.
bannon si definisce sovranista.
allora mi pare che PER ME devo trovare un altro termine...
definizione?

Non so chi segui ma io ti suggerisco di seguire luilucaliffo ha scritto: mar 12 nov 2019, 14:08definizione?
leggo i siti "sovranisti" e articolisti e commentatori sono ormai tutti imprenditori fascisti.
bannon si definisce sovranista.
allora mi pare che PER ME devo trovare un altro termine...
 )
 )infatti il tessile é voce importante anche delle importazioni.GioPod ha scritto: mar 12 nov 2019, 22:19 Quando sento parlare di export tessile italiano mi incazzo. L'Italia è sempre stata una potente industria manifatturiera, con centinaia di migliaia (probabilmente numeri a 7 cifre) di impiegati nel tessile. Ora è per lo più la sede creativa/marketing, la stragrande maggioranza di salariati del tessile sono all'estero per via della DELOCALIZZAZIONE.
Spiego in soldoni.
Per sintesi e comodità espositiva utilizzo una proporzione semplice, ma non lontana dalla realtà.
Del fatturato del TESSILE un terzo è da imputare ai materiali, un terzo alla confezione, un terzo ai ricavi e stipendi degli impiegati delle altre fasi che non siano le prime due.
La confezione italiana praticamente non esiste più (come negli altri paesi europei, ma in Italia occupava come detto tantissima gente) tutte le lavorazioni di cucitura e assemblamento dei vari materiali per l'abbigliamento sono delocalizzate all'estero. Quando hanno convenienza e numeri sufficienti sono spostate in Oriente (Cina, Bangladesh, Pakistan, India, Thailandia ecc.), quando va bene nei paesi dell'Europa dell'Est o del Nord Africa. Ieri parlavo giusto con un'azienda lituana (!) che confeziona per la GIORGIO ARMANI.
Quindi un terzo della fatturazione è imputabile a costi che vanno FUORI dal l'Italia, e con essi migliaia e migliaia di posti di lavoro.
L'altro terzo è rappresentato dai materiali (tessuti e accessori). Quando la confezione è lontana migliaia di km ha poco senso utilizzare tessuti e materiali italiani, ci sarebbe un costo logistico importante. Anche perché i confezionisti orientali soprattutto in Cina hanno costruito e alimentato un mercato di materiali potentissimo e florente. Una volta che la confezione è in Estremo Oriente GIOCO FORZA anche i materiali provengono da là. E non credete al fatto che di là ci siano solo materiali scadenti, al contrario le migliori aziende tessili sono là, spesso con i macchinari più evoluti e più performanti. Quindi un altro terzo se ne è andato. Con tutti i posti di lavoro che ne CONSEGUONO. Anche qua dietro alla produzione di tessuti c'è un mondo di aziende e lavorazioni, filature, tintorie, finissaggi, applicazioni varie, altre centinaia di migliaia di posti di lavoro andati in fumo.
Se del terzo che rimane togliete gli utili, resta poco sul territorio italiano, anche perché pochi sono i posti di lavoro che servono quando básicamente fai quasi il commerciante. Lo stilismo, il marketing, la modellistica, poco altro.
Quando si dice che la voce del tessile nelle esportazioni riveste ancora una discreta importanza sono fandonie belle e buone
È proprio così. La Le Pen ha ragionissima. Non possiamo essere Solo consumatori, dobbiamo anche essere produttori per avere gli stipendi per poter comprare.lucaliffo ha scritto:infatti il tessile é voce importante anche delle importazioni.GioPod ha scritto: mar 12 nov 2019, 22:19 Quando sento parlare di export tessile italiano mi incazzo. L'Italia è sempre stata una potente industria manifatturiera, con centinaia di migliaia (probabilmente numeri a 7 cifre) di impiegati nel tessile. Ora è per lo più la sede creativa/marketing, la stragrande maggioranza di salariati del tessile sono all'estero per via della DELOCALIZZAZIONE.
Spiego in soldoni.
Per sintesi e comodità espositiva utilizzo una proporzione semplice, ma non lontana dalla realtà.
Del fatturato del TESSILE un terzo è da imputare ai materiali, un terzo alla confezione, un terzo ai ricavi e stipendi degli impiegati delle altre fasi che non siano le prime due.
La confezione italiana praticamente non esiste più (come negli altri paesi europei, ma in Italia occupava come detto tantissima gente) tutte le lavorazioni di cucitura e assemblamento dei vari materiali per l'abbigliamento sono delocalizzate all'estero. Quando hanno convenienza e numeri sufficienti sono spostate in Oriente (Cina, Bangladesh, Pakistan, India, Thailandia ecc.), quando va bene nei paesi dell'Europa dell'Est o del Nord Africa. Ieri parlavo giusto con un'azienda lituana (!) che confeziona per la GIORGIO ARMANI.
Quindi un terzo della fatturazione è imputabile a costi che vanno FUORI dal l'Italia, e con essi migliaia e migliaia di posti di lavoro.
L'altro terzo è rappresentato dai materiali (tessuti e accessori). Quando la confezione è lontana migliaia di km ha poco senso utilizzare tessuti e materiali italiani, ci sarebbe un costo logistico importante. Anche perché i confezionisti orientali soprattutto in Cina hanno costruito e alimentato un mercato di materiali potentissimo e florente. Una volta che la confezione è in Estremo Oriente GIOCO FORZA anche i materiali provengono da là. E non credete al fatto che di là ci siano solo materiali scadenti, al contrario le migliori aziende tessili sono là, spesso con i macchinari più evoluti e più performanti. Quindi un altro terzo se ne è andato. Con tutti i posti di lavoro che ne CONSEGUONO. Anche qua dietro alla produzione di tessuti c'è un mondo di aziende e lavorazioni, filature, tintorie, finissaggi, applicazioni varie, altre centinaia di migliaia di posti di lavoro andati in fumo.
Se del terzo che rimane togliete gli utili, resta poco sul territorio italiano, anche perché pochi sono i posti di lavoro che servono quando básicamente fai quasi il commerciante. Lo stilismo, il marketing, la modellistica, poco altro.
Quando si dice che la voce del tessile nelle esportazioni riveste ancora una discreta importanza sono fandonie belle e buone
lavoro e produzione reale si delocalizza, la casa-madre in italia rivende (e figura come esportazione), contabilizza utili con cui paga tasse che servono a mantenere i disoccupati.
insomma il piano era quello di trasformarci in un palazzo imperiale di nullafacenti (la famosa frase di prodi)... ma qualcosa é andato storto. e non poteva non andare storto.
la situazione fu riassunta magistralmente da questa qua:
"la globalizzazione consiste nel vendere prodotti fatti da degli schiavi a dei disoccupati" (marine le pen)


 
 mò intanto si beccano qualche altro anno di bolsonaro, si son svegliati.lucaliffo ha scritto: mer 13 nov 2019, 12:56
- in soli 5 giorni l´approvazione a lula sale dal 34 al 40%